La Cattedrale una delle maggiori testimonianze di architettura religiosa ed artistica della Basilicata pur se all'esterno si presenta in un aspetto semplice e disadorno. Sorge al centro dell'abitato ed la terza dopo due cattedrali: la chiesa antica della Trinità (vedi oltre) e la chiesa di San Felice, situata nel perimetro dell'attuale Castello. Proprio per costruire quest'ultimo, necessario per posizione strategica al signore della città, Pirro del Balzo, la chiesa di san Felice viene abbattuta. Il duca costruisce a proprie spese la nuova cattedrale, l'attuale, abbattendo la vecchia chiesa di rito greco dedicata a san Basilio.
I lavori iniziano nel 1470 e terminano nel 1502, quindi alcuni anni dopo la morte del duca. E' dedicata a Sant'Andrea apostolo.
La Facciata quadrangolare con paramento in bozze di pietra calcarea con due monofore in posizione simmetrica ai lati del Portale d'ingresso principale (1512) che del maestro lapicida Nicola di Conza, il quale risente della cultura dei maestri catalani presenti nell'entroterra napoletano nei decenni precedenti.
E' modellato in forme semplici e ampie; quasi rettangolare e configura il tipico schema formale "a capannone" con una parte anteriore riservata ai fedeli e un ampio Presbiterio per il clero.
Possiede una fisionomia austera che lo distingue dagli altri edifici sacri venosini.
Ha tre navate. Gli archi a sesto acuto della navata centrale poggiano su pilastri a sezione rettangolare e si susseguono fino all'area del Transetto, evidenziato da due archi a sesto acuto in pietra lavica grigia.
Interno visto dall'Abside, 1502.
La lunghezza della navata centrale di m. 56,50, la sua altezza raggiunge quasi m. 13.
Interno, 1502, lato destro, visto dal transetto.
Quest’area riservata al culto è separata dalla zona dei fedeli da tre archi a sesto acuto. Presenta uno spazio molto ampio sia in ampiezza che in profondità ed ha un’altezza maggiore rispetto alle navate.
Il transetto ha due bracci rispettivamente lunghi m. 18,50 e m.19. L’abside copre una superficie di 46 metri ed è lunga m. 7.
Interno, 1502, lato sinistro, visto dal transetto.
Giuseppe Pinto, Gli 11 Apostoli e S. Paolo, tele, XVII secolo.
(da sinistra verso destra) S. Giacomo Maggiore, S. Matteo, S. Giacomo Minore, S. Giovanni, Apostolo, Apostolo, Apostolo, Apostolo, S. Paolo, Apostolo, Apostolo, S. Luca.
I dodici dipinti sono collocati in alto, lungo le pareti della navata centrale. Propongono gli Apostoli a figura intera. "Il ciclo dell'opera è attribuita dalla storiografia locale a Pinto, pittore di supposte origini locali, del quale questa serie sarebbe l'unica opera conosciuta".
Pur epigono della corrente naturalistica napoletana, Pinto dipinge sempre con una certa eleganza di segno e di composizione, di una certa maestosità eroica (cfr. Soprintendenza).
Nicola Marangelli, Trasfigurazione, tela, fine XVII secolo.
La "tela rivela caratteri stilistici molto affini alla tela 'gemella' (Noli me tangere): disegno vibrante, figure allungate, colori vivaci. Compositivamente ancora legato ad uno schema tardo-manierista, il dipinto costituisce l'unica testimonianza riconosciuta del pittore, di probabili origini locali" (Sopraintendenza).
Simone da Firenze, Adorazione dei magi, affresco, inizi XVI secolo, frammento.
E' uno splendido frammento di un ciclo di dipinti murali che rivela un disegno realizzato con chiarezza e delicato cromatismo.
(cfr. Scheda - Simone da Firenze)
Carlo Maratta, Annunciazione, tela, 1665.
Carlo Maratta un pittore vissuto dal 1625 al 1713. Nasce a Camerano (AN) e muore a Roma. Dopo la morte di Pietro da Cortona (1669), Maratta divenne il pittore pi importante di Roma. Ebbe la carica di Accademico di S. Luca e ottenne da re Luigi XIV la nomina di "pittore del re".
La sua pittura "viene progressivamente filtrata attraverso lo studio di Raffaello e delle opere romane di Annibale Carracci e Guido Reni, i modelli artistici indicati dalla dottrina del Bellori. In questo processo egli elabora i modi della sua produzione matura, caratterizzata da una dosata miscela di classicismo, di cui fu il riconosciuto maggior rappresentante, e delicati spunti barocchi" (De Marchi).
Egli dipinge questa tela su commissione dell'illustre card. Giovanni Battista De Luca, venosino e grande giurista, il quale conosceva bene il Maratta, essendo questi assiduo frequentatore della corte papale.
(cfr. Scheda - Carlo Maratta)
Ignoto locale, Morte di san Giuseppe, tela, sec. XVIII.
Qui l'ignoto pittore locale ha affollato la piccola stanza del santo moribondo collocando ai suoi lati Maria e Ges, ai suoi piedi l'Arcangelo Michele e, al di sopra del capo, l'Eterno in attesa di raccogliere l'anima del casto uomo.
Arco trionfale e Abside con altare maggiore, 1502; sullo sfondo, Giuseppe Pinto, Sant' Andrea, tela, sec. XVII.
L'Abside lungo circa m. 7 e copre un'area di m. 46,50.
Cappella del SS. Sacramento, 1520, Transetto, braccio destro.
Il Transetto ha due bracci, lunghi rispettivamente m. 19 e m. 18,50.
Cappella del SS. Sacramento, Arcone d'ingresso, materiale lapideo,1520.
L'arcone d'ingresso decorato con putti, medaglioni, festoni, figure, genietti. E' stato realizzato da una bottega forse d'origine dalmata attiva nel nord della Basilicata durante gli anni Venti e Trenta del Cinquecento.
Angelo con fiaccola, scultura lapidea, 1520, Cappella del SS. Sacramento, Arcone d'ingresso.
Raffigurazione rinascimentale delle fiaccole di cui parla l'Apocalisse: "Sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio" (4,5).
Mascherone e coppia di leucroti, scultura lapidea, 1520, Cappella del SS. Sacramento, Arcone d'ingresso.
I leucroti erano animali mitici capaci di imitare la voce umana; avevano il coraggio del leone, la rapidità del cavallo, la forza del toro. Nella simbologia tardo-medievale raffigurano il peccato, le sue seduzioni e le sue illusioni (peccare per perseguire il coraggio dell'arroganza, la rapidità della disonestà, la forza dell'oppressione).
Maschera, scultura lapidea,1520, Cappella del SS. Sacramento, Arcone d'ingresso.
La maschera sovrasta i due leucroti, simbolo di alcuni aspetti del peccato (arroganza, disonestà, oppressione) ed espressione del beffardo modo di vedere il "teatro della vita" collegato a quegli animali mitici che trovano imitatori.
Uomo che legge il ‘Libro delle ore’ , scultura lapidea, 1520, Cappella del SS. Sacramento, Arcone d’ingresso.
I ‘Libri delle ore’ erano manuali di devozione per i laici, largamente diffusi tra il XIII e il XVI secolo; si componevano di testi liturgici, brani evangelici, orazione alla Vergine e ai santi, del piccolo ufficio della Beata Vergine, che ne costituiva la parte essenziale assieme all’ufficio dei defunti, di litanie, salmi e altri testi sacri e anche profani.
Ricco signore, scultura lapidea, 1520, Cappella del SS. Sacramento, Arcone d'ingresso.
L'attributo di questa figura il sacco, simbolo di ricchezza. E' una delle raffigurazioni ricorrenti nella iconografia cristiana e rinvia ad una delle rappresentazioni di Matteo, gabelliere prima di diventare Apostolo. Immagini del genere venivano collocate nelle chiese con l'intento didattico, per i ricchi.
Carlo Maratta, Martirio di san Felice, tela, 1668.
Sulla tela raffigurato il Felice (titolare della precedente cattedrale) in compagnia dei santi Gennaro e Adautto; nella parte superiore spicca il suo persecutore e la statua di Giove al quale Felice ha rifiutato l'adorazione.
(cfr. Scheda - Carlo Maratta)
Carlo Maratta, Martirio di San Felice, tela, 1668, particolare (San Felice).
Maratta dipinge la tela su commissione dell'illustre card. Giovanni Battista de Luca, venosino e grande giurista, il quale conosceva bene il Maratta, essendo questi assiduo frequentatore della corte papale.
(cfr. Scheda - Carlo Maratta)
Carlo Maratta, San Gennaro, particolare del Martirio di San Felice, tela,1668.
(cfr. Scheda - Carlo Maratta)
Ignoto pugliese, Madonna con Bambino, sant'Anna coi Ss. Nicola di Bari e Francesco, tela, sec. XVII.
Ignoto pugliese, Madonna con Bambino, sant'Anna, tela, sec. XVII, particolare.
Nicola Marangelli - Noli me tangere (Non mi toccare), tela, fine XVII secolo.
La "tela rivela caratteri stilistici molto affini alla tela 'gemella' (Trasfigurazione): disegno vibrante, figure allungate, colori vivaci. Compositivamente ancora legato ad uno schema tardo-manierista, il dipinto costituisce l'unica testimonianza riconosciuta del pittore, di probabili origini locali" (Sopraintendenza).
Maestro di Neopoli, Tomba di Maria Donata Orsini, materiale lapideo, 1496, Cripta.
La principessa Orsini era moglie del duca Del Balzo, signore della città e costruttore della Cattedrale; ella fu madre di Isabella, andata in sposa a Federico, figlio di Ferdinando I d'Aragona e futura regina di Napoli.
La tomba stata costruita undici anni dopo la morte della nobildonna (avvenuta nel 1485) e il suo impianto monumentale si ispira alla tomba di Alberada, presente nell'Abbazia della Trinità.
La costruzione fu iniziata dal vescovo Pietro Rodolfo, proseguita dal vescovo Calceo, che lo elevò di "altri quattro palmi", e completato dall'energico vescovo Placido Scoppa, morto nel 1711.
E' alto 42 metri ed formato da tre piani quadrangolari, di cui il primo di m. 8,20 per lato, gli altri due hanno una monofora per lato (m. 23,20), quindi seguono due piani ottagonali sovrapposti e termina con una cuspide piramidale (m. 10).