La struttura sociale di Venusia era, come il resto della società romana, a base piramidale, con al vertice le classi dirigenti, al centro la massa del populus, contadini, piccoli proprietari ed artigiani ed alla base la classe servile. Ai margini di questa struttura si collocavano i liberti, gli ex-schiavi, che, se per origine erano di rango inferiore, riuscirono, soprattutto a partire dall’epoca imperiale, ad assicurarsi posizioni di visibilità sociale, grazie anche alle notevoli possibilità finanziarie. 

Le classi dirigenti di Venusia, i cosiddetti Domi nobiles, erano fondamentalmente un’aristocrazia terriera, anche se talvolta accrescevano i loro proventi con attività non connesse con l’agricoltura: i suoi rappresentanti erano i discendenti degli antichi coloni del 291 a.C., cui si aggiunsero i veterani della legio XII, all’atto della rifondazione del 43 a.C. 

Le possibilità di ascesa sociale, possono essere esemplificate dalla storia della famiglia dei Salvii. Il primo di cui si ha menzione da fonti epigrafiche, all’inizio dell’età augustea, è C. Salvius Capito, già possessore d’ingenti proprietà. Da iscrizioni di pertinenza del sepolcro familiare, si ha notizia di una squadra gladiatoria appartenente allo stesso Capito. Il mestiere di lanista, cioè di impresario gladiatorio, non era certo di grande lustro sociale, ma fornì grande pubblicità alla famiglia dei Salvi. Da ciò trassero vantaggio alcuni discendenti che si dedicarono all’attività politica: un tal C. Salvius Bubulcus, quaestor nel 34 A.C.., ed un L. Salvius L. F., che fu duoviro e curatore dell’acquedotto di Venusia in età tardoaugustea.

Dal punto di vista politico all’inizio Venusia fu una colonia sottoposta allo ius latinum. Le magistrature in questo periodo furono, per quanto riguarda quelle maggiori, la censura, la pretura e l’edilità, per quanto riguarda quelle minori, il tribunato della plebe (che aveva anche competenze in materia edilizia) e la questura (che svolgeva un’attività di controllo sulle proprietà pubbliche e private). La colonia aveva anche un proprio senatus, formato dagli ex magistrati maggiori.

A partire dal 90 A.C.. gli abitanti di Venusia diventarono, come tutti gli altri Latini, cittadini romani a tutti gli effetti. La colonia fu così trasformata in municipium, mutando quindi radicalmente il suo status politico.

L’ulteriore, e logico, mutamento fu la trasformazione, nel 43 a.C.., del municipium in colonia romana. Il mutamento ebbe effetto non tanto dal punto di vista della cittadinanza quanto da quello della struttura sociale, in virtù dell’immissione dei veterani della XII legione che ricevettero le terre espropriate ai locali.

Le magistrature si uniformarono a quelle delle altre colonie romane: il senato fu trasformato in ordo decurionum (i decurioni erano così chiamati in quanto scelti per decurie, per un totale di cento membri), era presente una magistratura giurisdicente, il duovirato (formata appunto da due magistrati), una con compiti di polizia urbana, gli aediles (anch’essi in numero di due), e, almeno a partire dal 34 a.C., una con incarico di sorveglianza ed ispezione sulle finanze pubbliche, i quaestores. A queste si affiancava quella dei duoviri quinquennales, che ogni cinque anni effettuava il censimento delle persone e delle proprietà pubbliche. 

Di notevole importanza erano anche le cariche religiose, da quelle tradizionali come i pontifices e gli augures, a quelle destinate al culto imperiale come i flamines.

La struttura triadica, senato, magistratura, populus, era affiancata da istituzioni con carattere politico—religioso, istituite per volontà di Augusto: gli Augustales, organizzazione parallela a quella magistratuale e formata da liberti, cioè ex-schiavi, che vi aderivano per ottenere quel prestigio sociale altrimenti negato a causa della loro origine servile.

Ultimo tassello dell’organizzazione sociopolitica venusina era rappresentato dai collegia, associazioni professionali come il collegium aquanorum, associazione degli acquaioli.

Per quanto riguarda l’economia venusina è chiaro che agli inizi fu basata essenzialmente, per non dire unicamente, sull’attività agricola, rappresentata dalle culture ceralicole. La posizione favorevole della colonia, posta al punto di incontro tra l’entroterra appenninico e le pianure apule, fece si che, almeno a partire dal periodo imperiale, a Venosa fossero create attività manifatturiere e mercantili, come lo smercio di mercanzie e fabbriche di laterizi (figlinae), grazie soprattutto all’azione dei liberti, le cui ingenti ricchezze procurate con queste attività (ricordiamo un’epigrafe che parla di un ricco unguentarium, cioè un profumiere in contatto con i ricchi mercati dell’Oriente), sono testimoniate dall’edificazione di ricchi monumenti funerari, a noi noti da resti od iscrizioni. Tali monumenti attestano anche la presenza di un folto gruppo di artigiani e lavoranti della pietra.

Venosa, ebbe una propria monetazione monetaria in bronzo per un periodo ristretto, nel III secolo a.C. La tipologia di questa monetazione, qantitativamente limitata ma assai importante dal punto di visto storico e formale, è del tutto originale: abbiamo Ercole, rappresentato a mezzo busto, con sul rovescio la figura del leone nemeo, Bacco seduto, il rospo visto dall’alto, il calzare alato di Mercurio. Tutti i soggetti sono in rapporto con i principali culti della colonia e con l’interesse per il mondo naturale e le attività venatorie. Dal punto di vista tecnico la monetazione era divisa in due guppi: quello dell’aes grave, formato cioé da monete assai grandi ottenute tramite fusione, e quello delle monete coniate, cioè create tramite un modello, conio, sul quale la lamina bronzea era martellata.

Secondo le fonti letterarie, nel sito dove sorse Venusia esisteva già una città abitata da popolazioni sannite prima dell’arrivo dei Romani. Strabone parla di Venosa e Benevento come di importanti città sannite in contrapposizione ad altri centri sanniti minori, quali Grumento. Dionigi di Alicarnasso riferisce che già in quest’epoca il centro era protetto da possenti mura ed aveva una propria organizzazione politica, con un senato e delle leggi, che disponeva inoltre di un proprio esercito e coniava una propria moneta.

Tra la fine del IV ed il III sec. a.C., i Romani fondarono numerose colonie in punti strategici del centro-sud della penisola: Luceria nel 314 a.C., Paestum nel 273 a.C., Beneventum nel 268 a.C., Aesernia nel 265 a.C., Brundisium nel 243 a.C. e la successione delle date scandisce i passaggi di questa penetrazione avvenuta dapprima in forma politica, tramite trattati e patti di alleanza, poi soprattutto militare.

La fondazione della città di Venusia si inserisce in questa fase di espansione di Roma verso l’Italia centro-meridionale, ed è la naturale premessa per la gestione dei territori conquistati in seguito alle guerre sannitiche.

Venusia fu fondata nel 291 a.C. per ospitare, secondo documenti del tempo, una colonia di ben 20.000 persone. Poiché a ciascun colono venne assegnato un appezzamento di terreno, il territorio “espropriato” a questo scopo fu enorme, a conferma del ruolo strategico della nuova città nel controllo di quest’area di confine fra le etnie dauna, sannita e lucana, snodo delle vie di comunicazione fra Puglia e Campania. 

Antichi documenti riferiscono di una contesa per la scelta dei coloni insorta, all’epoca della fondazione di Venusia, fra i due consoli Postumio Megello e Fabio Rulliano. Il primo era il generale che aveva conquistato l’area e forse chiedeva priorità per i suoi soldati, il secondo un politico che avendo fra gli abitanti della zona molti clientes, che tendeva ad inserire fra i coloni come cittadini di diritto latino.

In ogni caso gli storici sottolineano il notevole peso che le popolazioni locali sembrano aver avuto nella fondazione della nuova colonia. Lo stesso nome Venusia sembra essere un omaggio alla divinità femminile venerata da Sanniti e Lucani che i Romani identificarono con Venere.

Di questa prima fase della vita di Venusia ci sono pervenuti solo pochi reperti, soprattutto ex-voto di tipo anatomico e statuette simili a quelli diffusi nell’area di provenienza dei primi coloni (Lazio-Etruria). 

La colonia rimase fedele a Roma durante la seconda guerra punica e subì pertanto gravi perdite tanto che nel 200 a.C. nuovi coloni vennero inviati a ripopolare Venusia, che riprende il suo ruolo centrale rispetto alla romanizzazione dei territori circostanti. Questa sua funzione venne ulteriormente accresciuta quando nel 190 a.C. la Via Appia, che già collegava Venusia a Roma, venne prolungata fino a Brindisi. 

Solo durante la guerra sociale del 90-88 a.C. Venusia defeziona da Roma, sola fra le colonie di diritto latino, ad ulteriore riprova degli stretti rapporti fra le popolazioni locali insorte e gli abitanti, che in seguito a questi eventi ottengono la piena cittadinanza romana e Venusia diventa municipium.

Nel 43 a.C. i triumviri del Secondo Triumvirato trasferiscono a Venusia come coloni i veterani della Legio XII, che avevano combattuto in Gallia al seguito di Cesare: Venusia riacquista floridezza e fama — grazie alla fortuna letteraria incontrata a Roma da Orazio che vi era nato nel 65. a.C.— tanto da essere annoverata fra le prime 18 città della penisola. I numerosi interventi urbanistici, tanto di restauro dell’esistente quanto di costruzione di nuove importanti opere pubbliche, durante le età augustea e giulio-claudia ne sono l’ulteriore conferma.

La decisione di Traiano di far passare la Via Appia-Traiana direttamente nella pianura pugliese, per evitare il rilievo del Vulture, intaccò sicuramente tale prosperità senza però modificarla nella sostanza; poche notizie si hanno di Venusia per la piena età imperiale, ma l’archeologia non attesta particolari stravolgimenti. 

Nel Tardo Impero il dato rilevante è costituito dalla presenza di una consistente comunità ebraica, che, nel IV sec. d.C., seppellisce i propri defunti in catacombe scavate nella roccia, in cui sono state rinvenute numerose iscrizioni, incisioni e affreschi raffiguranti candelabri a sette braccia. Nella seconda metà del IV sec. d.C. la città sembra essere colpita da un fatto traumatico, forse uno dei violenti terremoti cui fanno riferimento alcune fonti. E ormai l’impero d’Occidente era finito sotto l’avanzata dei barbari.

Scelto in base alla necessità di consentire la sopravvivenza dei coloni in territori appena conquistati, il luogo dove fondare una colonia doveva rispondere ai requisiti strategici per il controllo militare del territorio, essere facilmente difendibile, doveva consentire un facile approvvigionamento idrico e disporre nelle vicinanze di cave o comunque permettere il facile reperimento e trasporto dei materiali da costruzione.

Anche la forma della colonia risultava essenzialmente legata ad una logica di tipo funzionale: la si costruiva ad imitazione del castrum, l’efficientissimo accampamento militare delle legioni; solo nelle zone interne forme più articolate erano rese obbligate dalle irregolarità del territorio.

L’impianto di Venusia fu programmato già nella prima fase urbana e l’ampio pianoro su cui sorge risulta essere intensamente urbanizzato fin dai primi anni di vita della città. L’abitato è diviso in tre fasce dalle due strade principali, intersecate trasversalmente da una serie di vie ortogonali a creare isolati rettangolari di circa m 54 x 105, con un rapporto tra larghezza lunghezza di 3 a 1. Per adattare il terreno alle esigenze di sviluppo della colonia furono inoltre realizzati dei terrazzamenti. L’attuale tessuto urbano ricalca parzialmente l’impianto antico conservando in C.so Garibaldi e C.so Vittorio Emanuele il tracciato delle due strade principali che attraversavano l’altopiano in tutta la sua lunghezza da Est a Ovest.

Le strade secondarie, di cui un breve tratto vicino alle terme è stato rinvenuto in buono stato di conservazione, dovevano essere in una prima fase pavimentate in terra battuta oppure coperte di ghiaia, successivamente furono lastricate.

La città era difesa da una cinta  muraria che correva lungo i margini del pianoro dove fu impiantata la colonia. Un tratto di queste mura in opera quadrata realizzata in blocchi di calcare locale a doppia fila, è stato individuato in Piazza Ruscello.

Non sappiamo dove si trovasse il Foro dell’antica Venusia (alcuni credono che sorgesse in corrispondenza dell’attuale P.zza Orazio), ma dalla sua pavimentazione proverrebbero le lastre con iscrizione monumentale riutilizzate nella costruzione della Chiesa della Trinità.

La parte orientale della città è caratterizzata dalla presenza di fornaci e dalla lavorazione della terracotta, mentre all’estremità occidentale di Venusia, nel punto più alto della città, dove ora sorge il Castello di Pirro del Balzo, era situato il castellum aquae: un grande serbatoio di cui alcuni resti sono stati ritrovati nel cortile del castello. 

L’approvvigionamento idrico, garantito dapprima da serbatoi, cisterne, pozzi e sorgenti, fu assicurato — almeno a partire dall’ età augustea — da un acquedotto, di cui restano circa 200 metri nei pressi dell’attuale ospedale, esso fu costruito nel 43 a.C. da Lucio Salvio, ricco proprietario terriero.

Strettamente collegate alla costruzione dell’acquedotto e da esso dipendenti sono le terme realizzate nella prima età imperiale, quando il prolungato periodo di pace e la presenza di un forte potere centrale consentirono la ristrutturazione del centro urbano e la realizzazione di una opera pubblica di notevole impegno urbanistico e finanziario quale l’anfiteatro. Questi interventi presupposero inevitabilmente un uso estensivo dell’esproprio del privato per la costruzione del pubblico e comportarono l’unione di due isolati e il declassamento della strada intermedia, nonché il livellamento delle precedenti costruzioni.

Alla prima fase edilizia delle abitazioni private più antiche di Venusia corrisponde una tecnica in opera incerta, con gli zoccoli delle abitazioni realizzati con ciottoli o blocchi di tufo ed gli alzati in mattoni crudi o altri materiali deperibili. In una fase successiva si utilizzarono ciottoli e frammenti di laterizi legati da malta, intonacati ed affrescati.

Oltre alla domus A, ricostruita in questo CD, un’altra domus di maggiori dimensioni è visitabile all’interno dell’attuale Parco archeologico, la Domus B.  Il complesso residenziale occupa tutto l’isolato delimitato da due assi viari minori. L’organizzazione degli ambienti è uguale alla domus ricostruita, ma comprende anche un peristilio (colonnato), mentre il locale a destra dell’ingresso è stato identificato come una bottega (taberna).

Resti di domus sono state individuate durante gli scavi sotto i giardini della Curia, ed un'altra nei pressi della chiesa di San Rocco. L'atrio di quest'ultima era pavimentato in scutulatum, genere di mosaico di solito utilizzato per i triclinii, rappresentante un pavimento non spazzato con i resti di cibo che i commensali usavano gettare sotto la tavola. 

Piuttosto accurata ed omogenea, in quanto coordinata dal potere periferico o centrale, risulta essere la tecnica edilizia utilizzata per l’esecuzione degli edifici pubblici. La successione cronologica dei materiali impiegati e della loro tessitura è: dapprima opera quadrata in blocchi di tufo, poi opus reticulatum (cubetti di calcare o di argilla), quindi opus mixtum ed infine opus latericium.

E’ molto probabile che una cittadina coloniale come Venosa fosse dotata anche di un edificio per gli spettacoli teatrali, ma di esso a tutt’oggi non si ha traccia. La presenza del teatro è fortemente indiziata dalla statua in tufo raffigurante un Telamone, utilizzata di reimpiego in una costruzione medievale: queste sculture di considerevoli dimensioni si ritrovano spesso in edifici teatrali, agli estremi dell’analemma (corridoi laterali di accesso alla scena). 

Per ciò che concerne il territorio gravitante intorno alla colonia, uno dei fenomeni più rimarcati da parte degli storici e degli archeologi è che fra fine IV e inizi III sec. a.C. molti insediamenti preromani cessarono di esistere o subirono un notevole ridimensionamento, conseguenza di un cambiamento e di un esodo di popolazione. Il caso più evidente è quello di Lavello (Forentum), importante centro apulo, in cui gli archeologi hanno rinvenuto importantissime necropoli relative al periodo antecedente la fondazione di Venusia, mentre la documentazione archeologica è relativamente scarna per il periodo successivo.

Con la fondazione della colonia, infatti, i terreni furono sequestrati ai Sanniti, che in gran parte ne divennero incolae (inquilini) e organizzati in villaggi o territori rurali (vici, pagi e stationes), sparsi sul territorio. 

Le forme d’occupazione coloniale erano molto probabilmente simili a quelle riscontrate in altre aree colonizzate dai Romani: a partire dal II sec. a.C. era sicuramente diffusa, come unità produttiva rurale, la villa rustica di tipo detto “catoniano”. Di piccole dimensioni e destinata ad ospitare gli schiavi addetti ai lavori agricoli e, di tanto in tanto, il proprietario terriero: può esserne considerato un esempio la fattoria rinvenuta a Banzi in località Mancamasone. 

Proprio Banzi (Bantia) è l’esempio archeologicamente più evidente del ruolo propulsore assunto da Venosa per la romanizzazione dei centri e delle aree limitrofe.

Prima ancora della guerra sociale, la comunità bantina, dietro pressione delle proprie élites, si diede una costituzione scritta in lingua osca e alfabeto latino su tavole di bronzo: le Tabulae Bantinae. Si tratta di un documento bilingue recante sul verso una legge romana della fine del II sec.a.C. e sull’altro il testo osco, che testimonia il processo di romanizzazione spontanea del centro indigeno su influenza ed imitazione della vicina Venusia, mutuandone in parte anche il sistema istituzionale, ad esempio la magistratura dei tribuni della plebe con competenza in materia edilizia. Da Banzi proviene anche un auguraculum di tipo latino a conferma della grande integrazione anche culturale con la romanità.

 
 
 
 
 

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